Riportiamo un articolo pubblicato su montagna.tv e pubblicato oggi sulla recente introduzione dell’obbligo di ARTVA, pala e sonda per le escursioni in ambiente innevato.
Dal 1° gennaio è in vigore il decreto legislativo che introduce nuove regole sulla sicurezza nelle discipline sportive invernali. La più discussa è certamente l’ampliamento dell’obbligo di dotarsi di ARTVA, pala e sonda anche alle attività escursionistiche, incluse ciaspolate, in certe condizioni ambientali. La critica principale è relativa alla poca chiarezza della norma, che non consentirebbe di individuare con certezza il perimetro di applicazione della stessa, come anche già evidenziato dal Cai.
Sulla questione dell’obbligatorietà dell’avere con sé i dispositivi di autosoccorso in caso di esclusione fuoripista, che sia con le pelli o a piedi, è intervenuta anche la Commissione del Servizio Valanghe Italiano, struttura operativa del Cai, ponendo in una nota alcune questioni interessanti e importanti in una discussione utile ad affrontare questo tema in modo completo.
La nota del Servizio Valanghe Italiano
Per noi del S.V.I. che da sempre ci occupiamo di prevenzione in ambiente innevato che non parliamo mai di sicurezza ma di prevenzione, che ragioniamo di consapevolezza del pericolo, di riduzione del rischio, di gestione del rischio residuo il messaggio che sta passando è confuso e preoccupante.
Si parla di obbligo dell’utilizzo di appositi sistemi elettronici di segnalazione e ricerca (ARTVa), pala e sonda, sul quale non possiamo non essere d’accordo, ma non ci si preoccupa minimamente se il possessore dell’attrezzatura di autosoccorso abbia o meno la capacità di utilizzare correttamente un’ARTVa, una sonda, una pala. Si una pala, perché scavare per raggiungere un sepolto richiede una certa manualità e una non usuale esperienza. Né ci si preoccupa se l’autosoccorritore di turno abbia la capacità di gestire la delicata e complessa situazione dell’emergenza “sepolto da valanga” dove soprattutto la testa gioca un ruolo fondamentale.
Qualcuno argomenta che l’essere in possesso dell’attrezzatura di autosoccorso è fondamentale, ma bisogna essere almeno in due e che se si è da soli l’attrezzatura è inutile. Più falso che vero. Potremmo essere testimoni di un incidente da valanga e dover intervenire per operare un soccorso, ma la cosa è possibile solo se si è in possesso dell’adeguata attrezzatura. Potremmo essere coinvolti in un incidente da valanga ed essere soccorsi da qualcuno presente all’accaduto e attrezzato (ARTVa, pala, sonda), ma anche in questo caso solo se anche noi indossiamo il nostro prezioso ARTVa. Inoltre, in questa seconda situazione, sprovvisti di ARTVa costringeremmo il soccorso organizzato a lavorare anche per giorni e, a volte, esposti a una situazione di forte pericolo (vedi l’incidente del Velino). Parliamo di obbligo a dare soccorso, di diritto a essere soccorsi, di obbligo morale a tutelate il più possibile i soccorritori. Sembra cinico dirlo, ma i soccorritori sono i primi a dover essere tutelati.
ARTVa, pala e sonda sono fondamentali e ci si salva essenzialmente con l’autosoccorso, ma a monte dovrebbe esserci un serio percorso di educazione alla frequentazione della montagna, ancora di più se innevata.
Un percorso alla consapevolezza del pericolo in ambiente innevato e un processo di presa di coscienza della necessità di avere ARTVa, pala e sonda (non per obbligo ma per scelta dettata dalla ragione) e al tempo stesso della necessaria capacità di saperne fare un uso efficace ed efficiente.
Parlare di “particolari ambienti innevati” poi vuol dire tutto e non vuol dire niente. Potremmo dare differenti definizioni di particolari ambienti innevati, definizioni anche molto differenti tra loro, tutte opinabili ma difficili da smentire. E a questa dizione molto discutibile di ambiente innevato si aggiunge il concetto di “condizioni nivometeorologiche con rischio valanghe”. Il bollettino definisce il pericolo valanghe, ma ci si dimentica oppure non lo si sa che il bollettino è su scala sinottica, ovvero ciascuna zona omogena (nota come meteonivozona) considerata dal bollettino copre un’are di almeno 100 kmq e spesso di 300 – 400 kmq. All’interno di ciascuna area omogenea i singoli versanti o pendii potrebbero avere condizioni molto differenti dal pericolo indicato nel bollettino. Si sente disquisire sull’inclinazione dei pendii e del rapporto inclinazione e “sicurezza”, ma basta scorrere un qualsiasi testo di nivologia per scoprire che le valanghe possono essere innescate anche a distanza (esempio i pendii collegati), in particolari condizioni scorrono anche in pianura, quelle nubiformi possono risalite i versanti opposti anche per 100 o 200 m di quota. C’è chi ragiona sulla relazione tra gradi di pericolo e range di “sicurezza” senza tener, volontariamente o inconsciamente, conto che, dopo il grado di pericolo 3 (marcato), è il grado di pericolo 2 (moderato) la situazione nella quale si registra il maggior numero di incidenti da valanga, in una scala che va da 1 (debole) a 5 (molto forte).
Si usa con disinvoltura il termine sicurezza quando si parla di ambiente innevato (mi fermo allo specifico ambito del S.V.I.) e si fraintende il pericolo con il rischio che ne può derivare inconsapevoli del grosso errore che si commette e del segnale fortemente diseducativo che si trasmette.
La sicurezza non esiste neanche dentro casa, basta pensare all’alto numero di incidenti domestici (anche mortali), figuriamoci quando si frequenta l’ambiente montano, per di più innevato. La sicurezza totale si ottiene solo in assenza di pericoli o non esponendosi a questi. Ma parlare di sicurezza in montagna (in escursione con gli sci, con le ciaspole o semplicemente senza alcuno strumento di progressione su neve) porta a sottovalutare i pericoli e ad abbassare il livello di attenzione, cosa che ci espone a incidenti anche mortali o conduce alla totale rinuncia dell’andare in montagna.
Errore che compie anche chi usa il termine gita in vece del termine escursione.
A volte la forma è anche sostanza, e nel caso dell’ambiente innevato l’essere equivoci può comportare conseguenze anche tragiche. E’ importante dare il giusto valore alla proprietà di linguaggio e avere consapevolezza del linguaggio. E’ importante dare voce alle reali competenze specifiche presenti nel mondo dell’ambiente innevato. E ancora, è importante essere consapevoli che la soluzione non può essere solo l’obbligo o il divieto, che a volte produce l’effetto contrario, ma anche e soprattutto l’educazione dei frequentatori alla montagna innevata, la rappresentazione della montagna non come una sfida ma come un ambiente doveroso di rispetto dove muoversi in punta di piedi, la diffusione dei tanti corsi organizzati dal CAI e l’incentivazione a partecipare, la diffusione della consapevolezza che la sicurezza non esiste ma esiste la prevenzione, prevenzione che sta nei corretti comportamenti e nella corretta forma mentis delle persone. E noi come S.V.I. continueremo a sostenere, fino alla nausea, quanto sia importante la capacità di avere consapevolezza del pericolo e il saper operare la riduzione del rischio e la gestione del rischio residuo, tutto questo in un continuo processo di apprendimento e di educazione ai temi della montagna innevata, in aula e in ambiente.